Entropia quotidiana
Il fondamento su cui decido di scrivere questo articolo, nasce da un pensiero che mi sta tornando spesso nell’ultimo periodo: la relatività della vita, intesa come un progressivo disordine di cose che accadono e delle nostre reazioni a esse.
Detta così sembra un grande pippone, ma in fondo non è altro che la definizione di entropia della vita stessa. Un moto continuo che va avanti indipendentemente da noi, perché l’esistenza — per quanto dispiaccia ai narcisisti — non gira attorno a nessuno, e soprattutto non rimane lì ad aspettarci.
Controllo e complessità
Per quanto si voglia avere il controllo, la realtà spesso non ci dà gli strumenti per reagire come vorremmo. Manca il tempo per comprendere azioni e conseguenze, e così la vita diventa più complessa di quanto i proverbi o le storielle di saggezza retrospettiva lascino intendere.
C’è chi impara a sguazzarci, chi si allena a prevedere situazioni ricorrenti e chi, semplicemente, vive senza pensarci troppo. E forse sono proprio questi i più felici: vivere è questo, senza troppi giri mentali o tentativi di razionalizzare tutto.
Autonomia, lavoro e relazioni
Il mio rapporto con questi pensieri è conflittuale. A volte vorrei solo esistere, girare tra i miei pensieri e le mie abitudini, senza dover mostrare o dimostrare nulla, ma semplicemente esserci. So però che un atteggiamento del genere rischia di portarmi a una deriva di isolamento, perché finisce per trascurare le relazioni con chi mi sta vicino.
Ho sempre avuto la tendenza a ridurre al minimo gli impegni, in favore di una vita più tranquilla e priva di stress. Ho preferito dedicarmi a ciò che mi piace e mi fa stare bene, senza chiedermi troppo quanto mi stesse costando. Nell’ultimo periodo, però — dopo aver lasciato il mio precedente impiego da sviluppatore per un salto nel vuoto, con la possibilità di lavorare su cose nuove che mi interessano davvero (vedi Cosmetico) — mi accorgo che questo atteggiamento rischia di spingermi verso una deriva di isolamento: il tempo sembra sempre mancare, anche perché nel mezzo c’è la ricerca di una fonte di reddito che mi consenta di preservare autonomia e libertà.
Quando lavoro a progetti del genere, entro in uno stato di flusso: mi concentro, mi immergo, e il resto — convenzioni e riti sociali compresi — sfuma sullo sfondo. È piacevole, ma anche anestetizzante; e se non sto attento, finisce per tagliare fuori proprio quelle relazioni che mi tengono ancorato al mondo.
Prospettiva relazionale e tempo
Questa mattina ho letto un articolo sulla prospettiva relazionale della realtà di Carlo Rovelli e mi ha fatto rafforzare un’intuizione che avevo maturato da tempo: non esiste una scena fissa, ma punti di vista. Se presa con questo punto di vista, l’entropia quotidiana non è il nemico da domare, è il contesto in cui scelgo dove posare gli occhi e cosa proteggere.
Persino il tempo cambia il suo significato con questi presupposti: non è una freccia che mi rincorre, è il modo in cui misuro il disordine delle mie giornate. In questa prospettiva, autonomia e relazioni non si escludono: si definiscono a vicenda. Forse il lavoro vero è imparare a regolare le interazioni, più che rincorrere un controllo impossibile.